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Normativa sulla videosorveglianza: cosa dice la legge?

Tempo di lettura: 6 min

 

Spesso i malviventi sfruttano le ore notturne o i momenti in cui gli abitanti di una casa non sono presenti nell'abitazione per rubare e per commettere atti criminosi. Per prevenire questi ultimi o per risalire ad eventuali colpevoli, è possibile installare un sistema di videosorveglianza. Tuttavia, l'utilizzo di videocamere potrebbe comportare la violazione del diritto alla privacy di altre persone (ad esempio degli altri abitanti del condominio): proprio per questo il Garante della Privacy ha chiarito dal punto di vista giuridico tutte le regole da rispettare per mettere in sicurezza la propria abitazione senza ledere il diritto alla privacy altrui. Nel caso in cui si vogliano installare delle videocamere in delle aree comuni, ci sarà bisogno innanzitutto del consenso della metà dei condomini, per poi installare dei cartelli che avvisano della presenza di sistemi di videosorveglianza. Per quanto riguarda le aree private, invece, ogni singolo individuo potrà installare delle videocamere per proteggere la propria abitazione, facendo attenzione a riprendere ad esempio solo la porta d'ingresso e non l'intero pianerottolo. Insomma, bisogna trovare un equilibrio tra sicurezza propria e privacy altrui e per farlo è necessario stabilire un limite: questo limite corrisponde al consenso informato da parte della maggior parte delle persone interessate, senza il quale non si potranno riprendere gli spazi comuni. In alternativa, basterà apporre un cartello che indichi con precisione le aree coperte da videosorveglianza.

Legislazione sull'installazione di videocamere di sorveglianza

Una delle domande più frequenti in questo settore riguarda la casistica di installazione dei sistemi di videosorveglianza. Il legislatore parla di "principio di proporzionalità", secondo cui un impianto che prevede videocamere può essere scelto solo nel caso in cui risultino inutili, insufficienti o inadeguate altre misure di protezione come recinti o ringhiere. Questa soluzione, andando a toccare aree sensibili come quella della privacy, va individuata infatti in via residuale, nel caso in cui si pensi che altre misure di sicurezza non possano garantire un risultato soddisfacente. Per quanto concerne il consenso va specificato che esso deve essere libero ed espresso da parte degli individui direttamente interessati. Il materiale videoregistrato potrà essere disponibile per un massimo di sette giorni, oltre i quali sarà obbligatorio cancellarli. Nel caso in cui si venga a scoprire che un individuo ha conservato le riprese video per un tempo superiore al limite stabilito per legge, egli dovrà fornire delle solide argomentazioni a suo favore. Un altro dei principi fondamentali espressi dal legislatore è il "principio di minimizzazione dei dati", secondo cui i dati raccolti non devono risultare eccessivi in relazione alle finalità prestabilite.

Ciò viene fatto per proteggere i dati degli individui ripresi, che dovranno essere raccolti solo se strettamente necessari. Un'evidente applicazione di questo principio è visibile nel Jobs Act, ovvero una riforma del lavoro per cui, tra le altre cose, non è consentito il controllo a distanza dei propri dipendenti da parte del datore di lavoro. Saranno quindi leciti sistemi di videosorveglianza sui posti di lavoro, poiché aumentano il livello di sicurezza, ma non nei luoghi privati dei propri lavoratori, come la loro auto o la loro casa.

 

 

Normativa per l'installazione di videocamere di sorveglianza in luoghi pubblici

Più specifica è la normativa che riguarda i luoghi pubblici, nei quali i sistemi di videosorveglianza sono installati non dai privati, ma dagli enti pubblici. Proprio perché il fine è quello della sicurezza pubblica, i cartelli informativi non sono obbligatori, ma comunque fortemente consigliati da parte del legislatore. Un luogo pubblico è uno spazio dove gli individui devono sentirsi al sicuro e tranquilli per quanto concerne la propria privacy. Per questo motivo le registrazioni andranno cancellate entro sette giorni (tranne che in casi eccezionali, opportunamente motivati). Per quanto riguarda le aree private accessibili al pubblico, come un negozio o un'attività commerciale, va chiarito che il titolare dell'esercizio può installare sistemi di videosorveglianza, laddove appositamente indicati tramite un cartello. In questi casi, le videocamere hanno una doppia funzionalità: esse si rivelano non solo come un'ottima modalità per risalire ai colpevoli di eventuali atti criminali, ma anche come un vero e proprio deterrente. Un malvivente, infatti, ci penserà ben più di una volta prima di compiere un illecito o un reato, avendo la consapevolezza della presenza di dispositivi che registreranno il suo comportamento. Questi strumenti si configurano quindi non solo come una potente arma di controllo e di pronto intervento, ma anche di prevenzione nei confronti del crimine.

Se da un lato la normativa deve regolare il diritto alla sicurezza di chi vuole installare sistemi di videosorveglianza, dall'altro c'è anche bisogno di tutelare gli individui che per diversi motivi possono venire ripresi in video. I diritti di queste persone sono principalmente tre:

  • diritto di essere informati riguardo la presenza di videocamere tramite appositi cartelli esplicativi;
  • diritto di cancellazione dei dati se sono trascorsi più di sette giorni (in assenza di una valida motivazione per conservarli per un periodo di tempo più lungo);
  • diritto di ricorso in caso di violazione dei diritti.

Per quanto riguarda questo ultimo punto, va ricordato che una violazione della privacy altrui rischia di comportare pene anche molto severe, specialmente se vengono effettuate da parte dei datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Se questi ultimi, ad esempio, verranno ripresi al di fuori degli orari e dei luoghi di lavoro, al fine di essere controllati a distanza, si andrà a violare il loro diritto alla riservatezza. Per i casi più gravi ed evidenti è prevista anche la reclusione, mentre la pena corrisponde ad una multa per le violazioni minori.

 

Normativa sulle nuove tecnologie di videosorveglianza

Il progresso tecnologico avanza senza limiti e molte tra le nuove tecnologie sono state implementate nei sistemi di videosorveglianza. In alcuni paesi (come la Cina) l'utilizzo del riconoscimento facciale è consentito nei sistemi di videosorveglianza in alcuni casi specifici. Al contrario, la normativa italiana e più in generale quella europea, vietano assolutamente l'uso di questa particolare innovazione. Questo perché secondo l' European Data Protection Board (EDPB), emanato dalla Commissione Europea, il diritto all'anonimato negli spazi pubblici è innegabile ed inalienabile. Infatti il riconoscimento facciale secondo le direttive europee si configura più come un rischio per i dati degli individui che come un possibile beneficio per la loro sicurezza e perciò risulta vietato (tranne nei casi in cui sia assolutamente necessario per delle indagini della Magistratura). In ogni caso, il dibattito è molto acceso e vede scontrarsi due poli opposti. Da una parte c'è chi pensa che l'implementazione di queste nuove tecnologie sia necessaria per raggiungere un maggiore livello di controllo e quindi una maggiore sicurezza, mentre di un altro punto di vista sono coloro che ritengono che un eccessivo potere nelle mani di chi detiene questi sistemi di videosorveglianza possa essere controproducente. Queste ultime persone si appellano al precedentemente citato principio di minimizzazione dei dati e sostengono che strumenti come il riconoscimento facciale non siano necessari per tutelare la sicurezza pubblica. Ancora più recente e di impatto sono le tecnologie che sfruttano l'intelligenza artificiale per un'analisi in tempo reale dei dati raccolti. Le IA risultano molto nuove e di conseguenze ancora più divisive, poiché non se ne conoscono perfettamente tutte le possibilità e i loro eventuali utilizzi.